mercoledì 15 ottobre 2014

Impressione e Fiori a Giverny. Parte I


A puntate, tratto dalla mia tesi di laurea in Belle Arti, un saggio sul famoso Giardino delle Ninfee a Giverny, atelier vivente di Claude Monet. 
Per chi ha tempo e voglia... buona lettura!



Il laghetto delle Ninfee nel giardino di Giverny.



Parte I: Natura e arte 


“Devo forse ai fiori di essere divenuto pittore”. 



Esiste da sempre un legame profondo tra il mondo fenomenico della natura e quello figurato dell’arte. Un filo sottile, ma ininterrotto, che si fa più fragile o più resistente secondo la sensibilità o le facoltà di interpretazione e rappresentazione, proprie di un singolo individuo o di un’intera civiltà, nei confronti degli spettacoli naturali. 

È noto come le primordiali forme di creazione artistica abbiano avuto origine nel contesto di un intimo e vitale rapporto tra l’uomo e l’ambiente circostante: dai graffiti rupestri, prima imitazione bidimensionale della realtà naturale, alle sculturette propiziatorie simboleggianti la fecondità di Madre Terra, ogni produzione d’arte agli albori della storia era connessa a tale legame, al punto che l’artista stesso non fu inizialmente consapevole della distinzione fra il mondo dell’arte e quello della realtà empirica. 


Affresco dei Cavalli Pomellati, Grotta di Pech-Merle (20-15.000 a.C).

Venere del Corno (30.000 a.C.).

Giardino, Villa Livia Pompei (I sec. d. C.).


Con la progressiva presa di coscienza della propria specifica identità nell’àmbito degli esseri viventi e degli oggetti inanimati del cosmo, l’uomo muta anche la sua concezione della natura, segnando parimenti diverse tappe nella rappresentazione della stessa in forma d’arte. Passando attraverso interpretazioni simboliche o fantastiche, realistiche o idealizzate, il paesaggio naturale in pittura assume, a partire dall’età medievale, un sempre maggiore rilievo, fino a raggiungere una sua autonomia di genere nel diciassettesimo secolo, con le note opere di Claude Lorrain, Nicolas Poussin, la scuola olandese ed altri artisti quale Salvator Rosa. 


Ambrogio Lorenzetti, Castello sul Porto di Talamone
 (data incerta fra 1319 e 1347). 

Nicolas Poussin,  Paesaggio con due Ninfe (1659).


Nell’Ottocento l’interesse per la pittura di paesaggio raggiunge il suo massimo livello, facendo della medesima il genere predominante: da semplice sfondo alle gesta umane, la natura diviene la principale sorgente di ispirazione artistica. A poco a poco non è più nemmeno semplice modello, bensì motivo; la vista della natura muove lo spirito umano, lo stimola, origina al suo interno emozioni e sentimenti particolari, così che la trasposizione in pittura di una scena osservata non significa tanto la sua restituzione in termini di fedeltà assoluta ai dettagli, quanto in termini di fedeltà al sentimento, all’impressione prima ricevuta dall’artista: 

“Non abbandoniamola mai, e cercando la verità e l’esattezza, non dimentichiamo mai di dar loro quell’apparenza che ci ha colpiti. Non importa quale luogo, quale oggetto; sottomettiamoci all’impressione prima. Se siamo stati realmente toccati, la sincerità della nostra emozione passerà agli altri”.
(Camille Corot, 1856) 


Camille Corot, Volterra: chiesa e campanile (1834)


Si diffonde così maggiormente la pratica di schizzare i bozzetti dal vero, all’aria aperta, per fissare con sincerità la visione originaria. 

Con il passaggio dal romanticismo alle teorie positiviste, la pittura di paesaggio dal vero si trasforma in un vero e proprio mezzo di conoscenza della realtà; così Gustave Courbet, in contrasto con gli insegnamenti accademici del tempo (miranti ad una idealizzazione, in arte, di quanto la natura offre “volgarmente” agli occhi), si propone di fare “de l’art vivant”, mostrando la bellezza della natura nella sua spesso inaspettatamente cruda realtà: 

“Il bello è nella natura e lo si riscontra sotto le forme più svariate. Appena lo si trova, esso appartiene all’arte, o piuttosto all’artista che sa vederlo.
Poiché il bello è reale e visibile, contiene in se stesso la sua espressione artistica. Ma l’artista non ha il diritto di amplificare tale espressione. Egli non può toccarla che rischiando di snaturarla, e di conseguenza di indebolirla. Il bello che ci è dato attraverso la natura è superiore a tutte le convenzioni dell’artista”.
(Gustave Courbet, 1861).


Gustave Courbet, Onde (1869).


È sulle basi di queste progressive interpretazioni che, intorno al 1870, vede la luce la pittura impressionista: sarà in particolare Claude Monet, il suo più caratteristico e devoto rappresentante, a saldare l’intima unione tra la stessa pittura e la natura vivente. 


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