domenica 9 novembre 2014

Impressione e Fiori a Giverny. Parte IV


Parte IV: Monet a Giverny

“Il mio giardino è un’opera lenta, perseguita con amore…”

Monet fece le sue prime esplorazioni di Giverny intorno al 1881 e ne fu subito piacevolmente colpito. A circa sessanta chilometri a nord-ovest di Parigi, la Senna confluisce ad est con il fiume Epte, in una verde valle che si estende verso mezzogiorno nelle pianure di Essarts e dell’Ajoux. Il villaggio di Giverny, che ai tempi di Monet contava circa trecento abitanti, poggia ai piedi di colline ondulate, circondato da campi e prati solcati da rigagnoli e filari di pioppi e salici. Gli specchi d’acqua dai riflessi cangianti, le foschie mattutine e le mobili fronde mosse dalla brezza, creano infiniti riverberi di luce colorata, mutevole ad ogni ora del giorno e diversa in ogni stagione. 




Monet ne fu affascinato e volle fare di quella soffusa e luccicante atmosfera la sua principale dimora; nell’aprile del 1883 affittò la casa e, a più riprese, ne avviò la lenta sistemazione, pur non abitandovi ancora stabilmente. 

La casa principale, le cui pareti erano ricoperte esternamente da un intonaco di colore rosa antico, includeva quattro locali al piano terreno e quattro al primo piano, completati da una soffitta e da una cantina. A destra, guardando frontalmente la costruzione dalla strada del villaggio che la fiancheggia (ora denominata “Rue Claude Monet”), trovava posto inizialmente un granaio che l’artista trasformò in studio, Sul retro, la casa si affacciava su un giardino di forma rettangolare, leggermente in pendenza; oltre il muro di cinta correva una strada (il “Chemin du Roy”) parallela ad un binario della ferrovia, al di là del quale il terreno ammantato di erba lussureggiante era solcato dal letto del Ru, una breve diramazione dell’Epte. 

Il 19 novembre 1890, ormai assestate le proprie condizioni finanziarie (fino ad allora assai precarie a causa della forte incomprensione da parte della critica e del pubblico), Monet poté finalmente acquistare la casa e il giardino retrostante; nel 1893 ampliò la proprietà (la cui superficie superava già i 9.000 mq) aggiungendovi dapprima la striscia di terreno compresa tra la strada ferrata e il Ru, ed in seguito un’ulteriore area situata oltre il torrente. Qui Monet volle creare uno stagno artificiale, incanalando l’acqua del Ru all’inizio della proprietà e restituendola al torrente all’estremità opposta mediante un sistema di chiuse (non senza difficoltà da parte della prefettura e degli abitanti di Giverny che non vedevano di buon occhio le stravaganze dell’artista e temevano un avvelenamento delle acque); la vasca venne poi ampliata e ulteriormente modificata fra il 1903 e il 1910 affinché apparisse meno regolare nella forma. 

Una immensa tela naturale era finalmente pronta ad accogliere i colori più intensi dell’Impressionismo.

Al giungere di Monet a Giverny, nel 1883, il giardino preesistente appariva assai lontano dall’idea compositiva che andava a poco a poco formandosi nella mente dell’artista.

Dalla casa principale al Chemin du Roy scendeva rettilineo il vialetto centrale, definito ancora più rigidamente dai due filari di cipressi e abeti rossi che lo costeggiavano; due lunghe aiuole fiorite ne accompagnavano la discesa, ordinate e simmetriche. Siepine di bosso tosate con asettica accuratezza, geometrie misurate e simmetria compositiva, colture selezionate senza alcun estro all’interno degli schemi stereotipati della tradizione, rivelavano l’identità del giardino acquistato da Monet, rientrante nella consueta tendenza dell’epoca a riprodurre, nell’àmbito ridotto della proprietà privata, gli stilemi dell’arte maggiore del giardinaggio francese, con esiti spesso sterili e vacuamente retorici.

Dopo l’arrivo di Monet, ben poco rimase di quanto era originariamente racchiuso entro la cinta della proprietà: coerentemente con la radicale opposizione condotta da parte dei giovani pittori del Café Guerbois nei confronti della pittura accademica ufficiale del Salon, circa quindici anni prima, Monet volle inondare di freschezza impressionista anche la natura del suo nuovo giardino, rimuovendo drasticamente tutto ciò che ancora le conferiva una sembianza formale. Conservando unicamente i tigli che profumavano l’angolo tra l’abitazione e il luogo ove in seguito sarebbe sorto il secondo atelier (a ovest della casa stessa, adiacente al muro di cinta) e i due rigogliosi tassi che facevano capo al vialetto centrale, vennero eliminati i due filari di abeti rossi e cipressi; così avvenne anche per le siepi di bosso e per molti degli alberi da frutto preesistenti, sostituiti da cotogni giapponesi e ciliegi. Presso il Giardino Botanico di Rouen, Monet si procurò bulbi e sementi per rimpiazzare le coltivazioni rimosse.

Con lavoro costante e premuroso, Monet diede forma giorno per giorno a quel progetto che nella sua mente andava definendosi in modo sempre più chiaro e insistente. Il pensiero del giardino lo lasciava raramente, anche quando si recava per periodi più o meno lunghi a dipingere presso altre località: in molte delle sue lettere alla moglie Alice compaiono nuove proposte e suggerimenti riguardanti le modifiche da apportare a questo o quel tratto del giardino. Questa sua passione non mancò di coinvolgere attivamente la stessa famiglia, fino a quando, nel 1891, per tenere testa all’immane lavoro di manutenzione, non fu necessario assumere addirittura cinque giardinieri, sotto la guida del fidato capo-giardiniere Breuil. 





“Quarant’anni fa, quando sono venuto a stabilirmi qui, non c’erano che una casa di campagna e un povero orticello… Ho acquistato la casa e a poco a poco l’ho ingrandita, organizzata. Il mio salone era il granaio… Ci siamo tutti dedicati al giardino: io stesso zappavo, piantavo, sarchiavo; la sera i bambini innaffiavano…”. Così l’artista nel 1924 ricordava quei primi anni a Giverny.

Nello svolgersi della vita quotidiana di Monet, dei suoi famigliari e dei suoi ospiti, il giardino assunse presto una parte predominante: i suoi ritmi segnavano quelli dell’attività artistica del maestro, che si installava con la sua attrezzatura negli angoli e negli istanti più suggestivi; la visita del giardino era tappa obbligata e gradita a ciascun ospite, dopo un pranzo consumato all’ombra dei tigli o sul terrazzo per non perdere nemmeno un attimo del meraviglioso e continuo mutare dello spettacolo naturale.


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